mercoledì 29 aprile 2009



Non ne conosco il motivo ma il sistema non mi permette di commentare i miei post…


Nella puntata precedente ho accennato alla voglia di correre in assoluta autonomia, senza l’ausilio di riferimenti siano essi cronometri, gps, pacers od altro.
Bene. Nessuna vena polemica, sia ben inteso, io stesso, nell’unica maratona cui ho partecipato, ho corso palloncini in faccia affidandomi ai pacers delle 3:30; così come reputo cronometri e/o gps ottimi strumenti per strutturare, eseguire, controllare, correggere e migliorare gli allenamenti e la preparazione ad un particolare evento.
Scusate ma oggi, con il senno del poi, quell’ "affidandomi ai pacers delle 3:30" mi brucia. Il tempo di 3:28:21 non è stato il mio tempo.

Ho studiato ma durante l’esame ho copiato. Certo, non ho copiato tutto ma una sbirciatina al libro sono riuscito comunque a darla.

Quello che vorrei ottenere è allenarmi così bene ed arrivare a conoscermi talmente a fondo da poter gestire la prossima gara in maniera assolutamente autonoma, correre a memoria sfruttando sempre e solo ciò che ho imparato durante la preparazione.
Pecco d’individualismo? Forse sì ma è per questo che corro e non gioco a calcio, che vado in montagna e non al bar con gli amici, che esco in bici …

martedì 28 aprile 2009

C:> del *.*


Vento e acqua. Acqua e vento.
Oggi, dopo 8 settimane, riprenderò a correre pianin pianino, a differenza del mio cervello che corre già velocissimo. Ha terminato il recupero, tutte le settimane di preparazione ed è alla vigilia di una qualsiasi gara (non necessariamente di 42 km) che, secondo lui, sarà a fine estate e vicina a casa.

S’interroga circa la correttezza di correre utilizzando strumenti (gps…) e/o riferimenti (pacer…) estranei alla propria forza e volontà.
Ha voglia di soggettività;
ha voglia di ricevere sensazioni senza dover dare ordini;
ha voglia di stupirsi girandosi a guardare il cronometro sull’arco d’arrivo;
ha voglia d’imparare a gestire la situazione km dopo km in assoluta autonomia;
ha voglia di stare per i fatti suoi senza dover lavorare.
… magari ha solo voglia di scollegarsi
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Si può spegnere ogni tanto il cervello,
smettere almeno di usare solo quello,
si può far finta che non ci sia niente
anche quando ti tremano le gambe...


Buoni o Cattivi V. Rossi

venerdì 24 aprile 2009

sogno o son desto?



Stanotte ho fatto un sogno:
al di là del fatto che mia figlia Chiara 13enne guidava la mia macchina con a fianco Naida, una delle sue sorelle ed io ero dietro, morto di sonno, che non riuscivo a tenere gli occhi aperti;
a parte la quisquilia che Chiara si è gettata nell’Adige per salvare Naida per essere poi ripescate entrambe dal sottoscritto…
a parte tutto questo, ho sognato che correvo.
Evidentemente era inverno perché indossavo pantalone alla caviglia e antivento. Correvo un lento lungo, anzi luuunghisssimo. Il problema era che non riuscivo a gestire i tempi e mi ritrovavo, di fatto, a fare una progressione incredibile. Arrivavo a correre tipo il road runner Beep-Beep di Vil Coyote e, sul più bello, venivo sorpassato da un vecchiotto che passeggiava chiacchierando amabilmente con la moglie. Si piazzavano lì davanti a me, ad un paio di metri e continuavano la loro tranquilla passeggiata mentre io, nonostante la continua accelerazione, non ero capace di superarli, di guadagnare quei due metri del curucucù che si erano materializzati, solidificati. Più correvo e più velocemente li spostavo … era come se stessi spingendo senza accorgermene un tapis-roulant invisibile sul quale passeggiavano i due nonni.
Difficile spiegare la sensazione ho provato.

martedì 21 aprile 2009

Dar del lei



Quando ho cominciato a dedicarmi al ciclismo un po’ seriamente ero seguito da tale Dino, un signore vent’anni più grande di me che ancora adesso litiga quotidianamente con la sua bici da corsa. Acquisito un sufficiente fondo, fatto da interminabili km di monotona pianura, si cominciava a dondolare senza pretese su qualche salitina per arrivare, infine, alle agognate montagne.
Una delle cose che mi ricorderò sempre di Dino è che, se si attaccava una salita particolarmente impegnativa, ammoniva tutti dicendo:
-Ocio che questa è una strada a cui bisogna dar del lei.-
Io non capivo cosa intendesse, annuivo concentrato guardandomi bene dal domandare onde evitare possibili figuracce e poi, spingendo sui pedali, pensavo e ripensavo a che caspita voleva dire dar del lei ad una salita.
Ne ho realizzato il significato un po’ alla volta ed ancora adesso, al di là delle situazioni alle quali bisogna "dar del lei" a priori, trovo alcune sfumature che ben si addicono; probabilmente il concetto pieno del "dar del lei" è soggettivo.
Beh, io, settimana prossima, riprendo a correre dando del lei ...

lunedì 20 aprile 2009

... ma perseverare è diabolico !


Lui: -Cosa c’è?
Lei: -Niente!
Dai, cos’è quel muso? Forse ho detto qualcosa che non va?
No
Forse qualcosa che non ho detto?
No
Forse qualcosa che ho fatto?
No
Forse qualcosa che avrei dovuto fare?
No
…??
…!!
Forse qualcosa che ho detto di aver fatto ma che non avrei dovuto fare oppure che avrei dovuto fare in maniera diversa per riportarla con toni più rispettosi per la tua sensibilità femminile che ormai dovrei conoscere?
… Forse …!
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Non è possibile!
Perché caspita le donne ragionano come donne?

martedì 14 aprile 2009

e dopo una, 2, 3, 4, 5, 6, 7 settimane …

Ho iniziato la 7^ settimana di riposo e mi ritrovo a dover convivere ancora con quel che rimane dell’infiammazione alla fascia plantare. È vero che non interessa più l’intero arco e che la fase acuta è passata ma, accidenti, c’è un punto, là all’attaccatura del tallone in linea con il primo dito (hanno un nome le dita del piede? Alluce … e poi?), che continua a farmi male.
Probabilmente è il focolaio dal quale è partito il tutto per cui, essendo la parte più infiammata, sarà l’ultima a rientrare.
Fatto sta che non mi fido a correrci sopra. Ho paura di compromettere l’intera stagione primaverile/estiva e, se così fosse, mi romperebbe alquanto.
Al di là della preparazione a non so ancora quale evento (mi gira per la testa la Maratona del Lago di Garda ma non mi dispiacerebbe nemmeno confrontare le sensazioni della Verona Bosco dell’anno scorso con quelle di quest’anno … potrei anche usare la Verona Bosco come lungo per la Maratona di Venezia rinunciando, per forza di cose, al Lago di Garda) …
Dov’ero rimasto?
Al di là della preparazione a non so ancora quale evento, sto elaborando un sacco di itinerari in montagna da fare da solo o con il cane, con le bimbe o con amici, di uno o più giorni, con pernotto in tenda o in rifugio, in completa autonomia o con qualche appoggio.
Le idee ci sono, vediamo se riuscirò a concretizzarle.

giovedì 2 aprile 2009

VeronaMarathon


Domenica 8 marzo 2009.

Mia moglie, attenta nutrizionista e salutista, decide la colazione più appropriata che, fatte salve le proteine, non si discosta molto da una colazione classica. Memore del freddo patito alla Verona-Bosco, decido per il pantalone a ¾ e la maglia a manica lunga. Ogni dettaglio è per me un punto di domanda. Ma dai, accidenti, non sarà tanto diverso dalle granfondo che ho fatto in bici … sì, alla fin fine è quasi vero.
Arrivo con congruo anticipo alla partenza e mi preparo. Non sento assolutamente la gara, cerco facce conosciute trovandone qualcuna. Mi preoccupo di assumere un’aria da veterano e mi dedico al riscaldamento e allo stretching. Pipì! Devo fare la pipì prima di partire. Mi avvio verso i bagni dove c’è tutto il mondo. Ci sono anche un paio di pacers dei quali conosco l’esistenza grazie ad un figurone fatto un po’ di tempo prima con Massimo che, raccontandomi della sua corsa a Venezia, mi ha nominato i pace maker. VacciBu, esclamo io, non pensavo che dei portatori di pacemaker (inteso come stimolatore elettrico del ritmo cardiaco) riuscissero a chiudere una maratona in 2 ore e 50. Et voila!
Mi sforzo e chiedo informazioni sul come funzionano i pacers. Ricevo una risposta alquanto logica e scontata che blocca sul nascere la mia domanda successiva. Si esce, ci si mette nelle griglie e si rimane a rimirare i Garmin altrui aspettando la partenza che, personalmente, non distinguo. La folla mi trasporta sotto lo striscione e lì, da quel momento, comincio a correre come un matto per guadagnarmi la scia dei palloncini delle 3 ore e mezza. Verona è la mia città, conosco il percorso alla perfezione, ogni curva, ogni fondo, dall’asfalto al porfido. In quel preciso momento Piazza Brà e l’Arena non m’impressionano più di tanto ma mi viene la pelle d’oca sulla nuca quando passo in mezzo al pubblico che mi applaude e mi incita. Non mi era mai successo. Al 2° km sono invogliato a spingere di più, sento che potrei allungare senza problemi, mi dà tanto fastidio la folla, il dover stare attento a non inciampare nelle gambe altrui. Comincio a pensare che, se va avanti così, rimango coperto fino al 30° e poi scappo. Usciamo dal centro storico e la strada si allarga.
Al controllo del 10° Km passo con un 48’48’’. Sorpassato il relativo ristoro (inavvicinabile) prendo una bottiglia offertami dal vicino e, come sempre mi succede, fatico non poco a bere. Mi conosco, succede anche in bici: non riesco a coordinare il deglutire con l’attività fisica, m’incasino perfino nel soffiarmi il naso. Dovrei fermarmi, bere e riprendere a correre ma non ci penso proprio, preferisco piccoli sorsi mal gestiti. Rientriamo verso la città correndo a fianco dell’Adige. Sono km che mi piacciono molto, spazi ampi, le gambe girano e mi ritrovo concentrato sulle sensazioni che mi trasmette la corsa.
Accidenti: ci manca poco che m’incasino e imbocco il bivio della mezza (è segnalato male oppure sono io che non ho dimestichezza?). No, non esiste, mi sento bene e vado avanti. Adesso la corsa è decisamente più vivibile, non c’è più tutto quell’affollamento e si gestiscono meglio le distanze. La mia gara continua egregiamente, i palloncini delle 3:30:00 stampati in faccia, taglio il traguardo della mezza in 1:44:59. Il cervello si ferma a pensare che un’ora e 44 per poco più di 21 km equivale a poco meno di 5’ al km. Ho dei margini sensibili rispetto i tempi che segno in allenamento. Posso far di meglio ma preferisco non bruciarmi. Rimango sempre dell’idea di star coperto fino al 30° per poi scappare. Eh, dopo tutto io l’ho già detto (e qui lo ribadisco) che HO furbo.
La seconda parte di gara ha la prerogativa di passare in ambienti di una monotonia enorme. Il traffico automobilistico aumenta sensibilmente. Mangio una barretta presa al ristoro dei 25. Mi ritrovo a correre incurvato; alzo la testa e raddrizzo le spalle. Realizzo che la distanza tra un cartello chilometrico e il successivo è notevolmente aumentata. Possibile? Il respiro è regolare, le gambe corrono abbastanza bene ma non sono sciolte come i km precedenti. La falcata non ha più la solita ampiezza e devo sopperire con una maggiore frequenza. Sono concentratissimo su ogni piccolo segnale che il mio corpo m’invia e cerco d’interpretarlo al meglio. Mi ascolto. So che quando incomincio ad ascoltarmi è perché mi manca poco alla riserva. Ogni ristoro è occasione per prendere qualcosa, qualunque cosa che presumo abbia la prerogativa di darmi forza ed energia. Apprezzo molto le arance tagliate a spicchi.
Il passaggio al 30° km ferma il cronometro a 2:29:01 con una media sempre poco sotto ai 5’ al km. I miei pacers sono tre macchine da guerra ma è ora di lasciarli. Devo scappare. Io HO furbo. Aumento all’inizio di un enorme rettilineo. Un rettilineo lungo. Lunghissimo. Sono 3 km e mezzo di statale a 4 corsie dove si corre con le macchine che ti sfrecciano a fianco e dove, appena alzi la testa vedi, laggiù in fondo, la curva a gomito che segna la fine dello stradone. La vedi, è sempre la in fondo, io continuo a correre ma lei non arriva mai. Cerco di distrarmi (per quanto ci si può distrarre in Viale Venezia). Penso alla strada che manca, la corro mentalmente.
Sono al km 36 e mi ritrovo solo, supero tanta gente che va al passo. È una situazione che, invece di spronarmi, ha l’effetto opposto. IL MURO C’è, ESISTE. Una signora di passaggio mi batte le mani incoraggiandomi ed io faccio il maleducato e non alzo nemmeno gli occhi da quel punto indefinito dove vedi solamente le punte delle tue scarpe che, alternandosi, compaiono con un ritmo che ti ostini a mantenere costante. Continuo a correre ma ho bisogno di bere, non tanto per la sete ma perché devo pulirmi al bocca. Sono nel quartiere dove sono nato e cresciuto. Conosco una fontanella poco visibile che rimane sul percorso, vicino al canoa club, mi fermo (!), mi ci attacco e bevo per la prima volta in maniera giusta, a bocca piena. Due dei tre pacers mi raggiungono. Ne abbiamo perso uno. Mi riaccodo e subito mi sento meglio. Siamo rimasti solamente in due a far compagnia ai palloncini. Si accorgono subito della mia crisi e mi mettono in mezzo, mi parlano, mi consigliano, mi fanno spostare lo sguardo sul culo delle ragazze che incrociamo. Continuo a correre anche quando la strada s’impenna su per il cavalcavia del 41° km e, in discesa, ricevo la benedizione dei due angeli custodi che mi incitano all’ultimo sforzo. Mi dicono che devo aumentare, devo staccarli e non farmi vedere al traguardo scortato da due pacers. Non è bello.
Volo, le gambe aumentano falcata e frequenza, vanno da sole, non si fermano (anche perché, se lo facessero adesso, cadrei atterra).
QuarantadueChilometriCentonovantacinqueMetri
TreOreVentottoMinutiVentunoSecondi

mercoledì 1 aprile 2009

2^ puntata: verso la maratona

Deciso! M’iscrivo alla VeronaMarthon in calendario per l’8 febbraio 2009 ma non sono molto convinto. Ho anche un problema che comincia a farsi largo: un dolorino alla pianta del piede sinistro che io, che HO furbo, associo subito all’utilizzo di un paio di scarpe probabilmente vecchiotte. Probabilmente vecchiotte? È due anni che corro ininterrottamente con le stesse scarpe !!! Va beh, anche se mancano solo 15 giorni mi prendo in paio di Nike Air Zoom Vomero 3, ci faccio gli ultimi allenamenti, la gara, spero che non mi diano problemi e che, soprattutto, l’acciacco rientri da solo (ndr: per colpa di quel dolorino, ad oggi, sono ancora fermo a spalmare ketoprofene gel al 5%).
Ultima settimana: non ne posso più di muovermi esclusivamente in funzione della maratona. Voglio correre a testa sgombra solo per divertirmi. Magari lo farei nella stessa identica maniera, però lo farei per me e non per l’8 febbraio. Arrivo anche a pensare d’approfittare del fatto che il bivio per la mezza rimane sul percorso dell’intera; mi sparo la mezza, la corro "a tutta" cercando un tempo degno di nota (per chi?) e mi metto la coscienza a posto.
Il venerdì pomeriggio vado a ritirare il pettorale. Non so come funziona e mi vergogno a domandare. Adesso che ci penso: non so proprio nulla! Realizzo e immagazzino, una per una, nel tempo, una montagna di domande: cosa mangio il giorno prima? E a colazione? L’abbigliamento? Come mi alimento durante la gara? Cosa sono e a cosa servono le creme? E chi più ne ha, più ne metta … Senza pensare a tutte quelle cosucce di cui proprio non sono al corrente come, ad esempio, l’utilizzo della vaselina laddove ho deciso di non mettere la mutanda sotto il pantalone a ¾. A buon intenditor, poche parole